La percezione visiva nel lobo temporale è specializzata per la novità contestuale

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 26 settembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La corteccia della regione ventrale del lobo temporale del cervello umano è caratterizzata da aree che elaborano selettivamente alcune categorie di informazioni visive, distinte da quelle rilevate nei neuroni della corteccia occipitale e storicamente studiate sulla base del lavoro pionieristico svolto da Hubel e Wiesel. Infatti, tali aree non rispondono in maniera specifica alla forma dell’immagine che vediamo, ossia all’orientamento dell’asse principale, alle sue linee interne, alla sagoma, ai suoi confini, ma reagiscono propriamente ai suoi “contenuti”, che possiamo indicare con i termini di categorie di oggetti visivi. In altri termini, queste aree mostrano una specializzazione per categorie quali i volti umani (giro fusiforme)[1], per i luoghi, per gli strumenti da lavoro, per le case, eccetera.

Ora, un nuovo studio condotto da Miller e colleghi, ha consentito di identificare sub-regioni, all’interno di aree selettive per categorie, sintonizzate per la novità in contesti sequenziali. Il lavoro è degno di nota, non solo per coloro che si occupano di percezione visiva, ma più in generale per quanti studiano la fisiologia corticale e i meccanismi neurali alla base dei processi cognitivi  (Miller K. J., et al., The physiology of perception in human temporal lobe is specialized for contextual novelty. Journal of Neurophysiology 114 (1): 256-263, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurosurgery, Stanford University, Stanford, California (USA); Program in Neurobiology and Behavior, University of Washington, Seattle, Washington (USA); Department of Neurological Surgery, University of Washington, Seattle, Washington (USA); Department of Psychology, Stanford University, Stanford, California (USA); Department of Computer Science & Engineering, University of Washington, Seattle, Washington (USA).

Le nozioni classiche di neuroanatomia e neurofisiologia della visione privilegiavano un modello schematico di vie ottiche che, dagli assoni delle cellule gangliari della retina attraverso la stazione del corpo genicolato laterale del talamo, raggiungono la corteccia calcarina occipitale delle aree 17, 18 e 19 secondo la mappa citoarchitettonica di Brodmann[2]. In questo modello, centrato sulla via genicolo-striata, l’informazione visiva è convogliata nell’area V1 (area 17) occipitale, organizzata secondo uno schema preciso che riflette punto per punto la disposizione spaziale retinica (retina corticale) e deputata allo smistamento dell’informazione alle altre aree corticali[3], specializzate nell’elaborazione in parallelo di forma, colore, movimento e profondità della scena retinica catturata dall’occhio. In realtà, quando parliamo della nostra esperienza visiva del mondo, sia per aspetti banali della vita di tutti i giorni che nelle astrazioni filosofiche relative al significato della percezione, noi ci riferiamo all’identificazione di oggetti: tutta la nostra esperienza visiva del mondo è centrata sull’oggetto[4], la cui percezione costituisce il legame fra visione e cognizione. Tale processo, studiato come elaborazione visiva di alto livello, ha la sua sede privilegiata nella corteccia temporale inferiore.

Il mondo esterno raggiunge la retina, attraverso i dispositivi anatomici dell’occhio, sotto forma di configurazioni complesse e dinamiche di luce di varia intensità e colore. Il primo livello dell’elaborazione visiva è responsabile del rilievo di vari tipi di contrasto in queste immagini, mentre il livello intermedio di elaborazione è implicato nell’identificazione di contorni, campi di movimento e rappresentazione delle superfici. L’alto livello dell’elaborazione visiva integra informazioni provenienti da una varietà di fonti, costituendo lo stadio finale della funzione delle vie ottiche cerebrali che porta all’esperienza visiva cosciente.

La ricerca ha dimostrato che, in pratica, l’elaborazione visiva di alto livello dipende da segnali inviati dall’alto verso il basso (top-down), che conferiscono alle rappresentazioni sensoriali afferenti (bottom-up) significato semantico e senso astratto, provenienti dalla memoria a lungo termine, dalla memoria di funzionamento di breve durata (working memory) e dagli scopi o fini che orientano l’atteggiamento cognitivo del momento. In tal modo, l’elaborazione di alto livello seleziona attributi dell’ambiente visivo significativi per il soggetto, in generale e in rapporto alla circostanza.

In breve, la ricerca recente ha rilevato che la nostra esperienza visiva della realtà materiale che ci circonda è centrata sull’oggetto, che gli oggetti sono spesso visualmente complessi, perché costituiti da un gran numero di elementi associati e rilevanti in termini percettivi, e che l’elaborazione visiva di alto livello focalizzata sull’identificazione degli oggetti[5], alla base del riconoscimento e dell’interazione appropriata col mondo circostante, avviene prevalentemente nella corteccia temporale inferiore.

Miller e colleghi hanno sottoposto dei volontari, portatori di sistemi di elettrodi impiantati per il rilievo dell’Elettrocorticogramma (ECoG, da electrocorticography), all’osservazione di serie di immagini di semplici volti umani e di case. Per indagare la risposta cerebrale a tali esperienze visive, i ricercatori hanno quantificato l’attività delle popolazioni neuroniche registrate, trovando considerevoli risposte in siti selettivi per i volti in corrispondenza del giro fusiforme - come ci si poteva attendere - e in siti selettivi per le case nei giri della lingula e paraippocampale.

È stata poi studiata la differenza di risposta, nelle popolazioni neuroniche sensibili registrate, tra la ripetizione di stimoli della stessa categoria e la novità costituita dalla presentazione di stimoli di una diversa categoria. In pratica, la grandezza (magnitude) e i parametri temporali (timing) dell’attività neurale delle singole prove sono stati rilevati confrontando i dati emersi nelle sequenze ripetute (volti/volti) con quelli registrati per sequenze alternate (volti/case) riproducenti l’effetto della novità. Più della metà dei siti selettivi per categoria mostrava un’attività sinaptica totale significativamente maggiore per la classe di stimoli costituenti la novità.

Approssimativamente metà dei siti selettivi per i volti umani ha fatto registrare un tempo di latenza per raggiungere il picco di attività significativamente più rapido (~ 50 ms) per la classe di stimoli nuova.

Questi risultati stabiliscono l’esistenza di sub-regioni all’interno delle aree selettive per una determinata categoria di immagini che sono sintonizzate in modo differenziato per la novità in un contesto sequenziale, dove stimoli nuovi sono elaborati molto più rapidamente in alcune regioni, e con una accresciuta attività neuronica in altre.

Ulteriori studi chiariranno se si può realmente parlare di specializzazione delle aree visive temporali per la novità contestuale, come desunto ed affermato dagli autori dello studio.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-26 settembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si estrae il brano che segue da una recensione recente, alla quale si rimanda per ogni approfondimento (Note e Notizie 14-03-15 Nuove sul riconoscimento dei visi e area dei volti).

La storia dello studio della facoltà di riconoscere i volti umani comincia con l’individuazione di lesioni in un’area corticale visibile dalla superficie inferiore dell’encefalo e situata in una zona paramediana al confine fra lobo temporale e occipitale, corrispondente al giro fusiforme, quale causa di prosopoagnosia, ovvero di perdita della capacità di riconoscere dal viso persone note. I casi strazianti di pazienti che, in seguito ad un episodio cerebrovascolare o per altre cause di lesione focale, erano diventati incapaci di riconoscere la propria moglie ed altri familiari, sono stati descritti fin dal secolo scorso. Dal riconoscimento dell’area dei volti del giro fusiforme, necessaria ma non sufficiente per memorizzazione e riconoscimento delle facce, si è passati all’individuazione di un circuito: “…si ricorda che nella nostra specie, come negli altri primati, esiste un sistema neuronico dedicato per l’elaborazione dei volti: tale sistema prevede un collegamento con l’amigdala specifico per la comprensione delle emozioni espresse dalla mimica facciale.” (v. Note e Notizie 05-07-14 Memoria di riconoscimento indipendente dall’Ippocampo). Questo sistema è stato oggetto di un interessante studio recensito da Lorenzo L. Borgia: Note e Notizie 05-07-14 Neuroni selettivi per le emozioni percepite nell’amigdala umana.

[2] L’area visiva primaria, denominata in fisiologia V1, corrisponde all’area 17 della classificazione di Brodmann; l’area visiva secondaria (V2) nella corteccia extrastriata corrisponde all’area 18; l’area 19, invece, contiene vari territori funzionalmente distinti che non consentono una facile equivalenza morfo-funzionale.

[3] Ne sono state identificate 32, prevalentemente mediante studi sulla corteccia cerebrale del macaco, che in gran parte hanno trovato riscontro nelle osservazioni condotte sul cervello umano.

[4] La definizione di “oggetto visivo” è quanto mai difficile, perché attiene ad un significato operativo o di intesa che la neurofisiologia ha preso a prestito dalla filosofia: oggetto visivo è un elemento circoscritto al quale corrisponde un’identità di senso, e può essere una cosa in senso lato e in senso stretto, un manufatto, una parte del mondo artificiale o naturale, una  pianta, un’animale, una persona o una parte del corpo.

[5] Si tenga conto del fatto che l’identificazione dell’oggetto, che si basa sulla sua costanza percettiva, viene messa regolarmente alla prova dalle variazioni legate alle condizioni di illuminazione, all’angolazione visuale, alla posizione e alla distanza. Si consideri anche che l’identificazione visiva non è un processo isolato, ma avviene generalmente in un contesto cognitivo di associazione evocativa: ad esempio, il viso di una persona può evocarne la voce, il profumo o memorie legate ad esperienze condivise.